INTERVISTA AD ALESSANDRA SCIURBA

Il 3 ottobre ricorre l’anniversario della tragedia del 2013 che ha visto la morte di 368 persone al largo di Lampedusa, perchè non tempestivamente soccorse dalla guardia costiera. Le politiche di accoglienza degli ultimi anni, ignorando le tragedie che hanno continuato a susseguirsi nel mediterraneo, hanno ulteriormente ristretto i diritti fondamentali dei migranti che vogliono raggiungere il suolo italiano e chiedere protezione internazionale. Le mobilitazioni internazionali, tra le quali le campagne #apriamoinostriporti #stayhuman non hanno sortito reali effetti sui governi che continuano a violare normative nazionali, internazionali e consuetudinarie.

A questo proposito, abbiamo intervistato Alessandra Sciurba, che da molti anni si occupa di migrazioni, frontiere e diritti umani come ricercatrice, operatrice socio-legale, coordinatrice di progetti sul territorio siciliano e attivista. Alessandra pensa che commemorare la giornata del 3 ottobre sia si importante, ma anche che il ricordo della tragedia debba essere accompagnato da concreti mutamenti delle politiche migratorie, le quali invece continuano a permettere la perdita di numerose vite in mare. Continua parlando degli stati che criminalizzano le navi della società civile, le quali non fanno altro che cercare di difendere i diritti umani dei rifugiati. Ci ricorda anche del Memorandum di intesa con la Libia, ideato da Minniti e firmato nel 2017 dall’allora presidente Gentiloni, un accordo incompatibile con il rispetto del diritto internazionale del mare, dei diritti umani e dei rifugiati. Nonostante il consiglio d’Europa abbia continuamente chiesto all’Italia di sospenderne l’applicazione, nel 2020 il memorandum è stato rinnovato e poi nel 2021 rifinanziato. A cio si va ad aggiungere il comportamento della Guardia Costiera libica, che agisce in piena conseguità con trafficanti e miliziani i quali poi vendono, stuprano e torturano le persone migranti. Organizzazione che vede tra i suoi esponenti di spicco criminali internazionali, come il comandante Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, uno dei maggiori trafficanti di armi ed esseri umani. Gli accordi con la libia violano anche un principio fondamentale costitutivo del diritto internazionale che regola il rapporto tra gli stati: il principio di non refoulement. Quest’ultimo, impone che nessun essere umano possa essere respinto da uno stato all’altro, quando questo respingimento implichi la violazione dei suoi diritti fondamentali o metta in pericolo la sua vita. Nonostante tuttol’Italia ha nel 2009 respinto migranti alla frontiera ed è stata condannata dalla Corte Europea per i diritti umani, proprio per aver violato questo principio fondamentale di non refoulement.

Cambiando argomento, le abbiamo chiesto di come e quando sono nate le prime organizzazioni di volontariato per il soccorso dei migranti. Alessandra ci racconta che il lavoro delle ONG in mare nasce alla fine della missione Mare Nostrum, una missione che aveva ridotto moltissimo le morti nel Mediterraneo. Missione che, ad un certo punto, viene ritirata, e sostituita da Frontex, che non ha l’obbiettivo di salvataggio ma solo quello del controllo delle frontiere. Di conseguenza, molte associazioni della società civile hanno iniziato a mettere in atto, e con grande fatica, queste operazioni di soccorso: “all’inizio ci fu una vasta collaborazione con le forze dell’ordine italiane, ma dal 2017 in poi, dopo un rapporto non documentato in cui l’Agenzia delle frontiere Frontex dichiarò che le ONG avrebbero costituito un fattore di “attrazione” per i migranti, e che in qualche modo avrebbero aiutato i trafficanti, iniziò la criminalizzazione, e di colpo le navi delle ONG diventarono quasi un nemico pubblico.” Negli ultimi anni le ONG sono state principalmente accusate, anche dai governi in carica, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accusa che non si è neanche mai trasformata in processo, e tutte le inchieste aperte sono state archiviate senza neanche rinvio a giudizio; questo perché chi di competenza si era reso conto che le navi delle organizzazione semplicemente obbedivano al dovere di soccorso e al dovere di portare la gente nei porti sicuri.

Le abbiamo, inoltre, chiesto se lei crede che ci sia stata una manipolazione dei governi per giustificar misure più restrittive a fronte di una situazione emergenziale. Alessandra ci ha cosi ricordato degli anni tra il 2005\2006, durante i quali entravano in Italia circa 550 mila persone l’anno, molte di più di quelle che sono poi arrivate tra il 2015\2016, anni in cui l’Italia e l’Europa hanno invece urlato all’emergenza. L’unica differenza, però, era che c’era una gestione, certamente non ottimale, ma comunque meno isterica e strumentale dell’immigrazione come quella che c’è adesso. Gestione che gioca sulle paure delle persone: “i partiti, sopratutto la destra, hanno costruito la propria forza e il proprio consenso sull’ansia di sicurezza e sulla possibilità di distogliere l’attenzione su quelli che poi, invece, sono i veri problemi che dovrebbe affrontare”.

Alessandra Sciurba ha recentemente pubblicato: “Le parole dell’asilo: il diritto di confine”, libro che ricostruisce le origini antichissime del diritto d’asilo e cerca di attraversare la storia di quella che è diventata la nostra cosiddetta società giuridica. Analizza il diritto d’asilo, definendolo come “il riconoscimento della inviolabilità dell’essere umano in quanto tale. Se si rinuncia a questo diritto, si rinuncia a ciò che sostanzia la visione dei diritti umani. Difendere i diritti di persone che ci sembrano lontanissime non è essere buonisti o compiere un atto di altruismo, significa lottare per quelle garanzie e quei diritti che tutelano anche noi stessi, significa continuare a difendere una visione e un’idea di mondo che è quella in cui io vorrei che i miei figli crescessero”.

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